Giada
Quella mattina la sveglia suonò al solito orario, come sempre ma a Giada sembrò che fosse prima del solito. Forse perchè rimbambita dalle molte compresse di melatonina e dalla stanchezza accumulata da tempo di cui proprio non riusciva a disfarsi, non si capacitava di aver dormito otto ore filate e sentirsi come se fosse passato un solo minuto. Sonno senza sogni. Ruzzolò fuori dal piumone velocemente, ancora al buio aprì le imposte per far entrare la luce del giorno attraverso le tende scure. Non era una che si crogiolava nel letto a lungo; suonata la sveglia, via marsch, andare, in piedi. Era una giornata grigia, nebbiosa ma non fredda. La campagna circostante alitava nebbia tutt’intorno. Aprì l’armadio e scelse qualcosa di carino da mettere , malgrado dovesse andare solo al lavoro. In periodo di Pandemia ogni occasione è oro e va sfruttata. Si vestì in fretta, in bagno con lo scaldino a palla e decise di non pesarsi, anche se con lo sguardo aveva già preso tutte le misure. Nel rumoreggiare degli appartamenti intorno, che si preparavano ad una nuova giornata, trangugiò una tazza di cereali scadenti, in piedi al bancone della cucina, ascoltando distrattamente le notizie del tg, sempre uguali da un anno a quella parte. Non aveva grossi programmi; le giornate erano sempre uguali: lavoro, casa, spesa, pulizie, cucinare, allenarsi, preoccuparsi di dormire. Il programma era chiaro dunque. Per dare un tocco di novità decise di truccarsi, ma solo per sé. Dietro ad una mascherina chi può vedere le occhiaie o i brufoli? Può essere fatica sprecata, non si vede, non dura e sporca la mascherina in dieci minuti, ma chissenefrega: era un atto dovuto a sè. Guardò l’orologio: era in leggero ritardo. Il rituale del maquillage le aveva rubato minuti attentamente centellinati per far sì che le giornate durassero il meno possibile. Era come il Bianconiglio: ossessionata dall’orario. Sempre troppo tardi o troppo presto, senza nemmeno sapere per cosa esattamente. Si sentiva di averne perso troppo. Quella era la mattina dell’immondizia, così con sacchi neri alla mano, borsa col pc, borsetta e vestiti per la Caritas, uscì di casa. Solo due mandate di serratura e riaprì la porta: aveva dimenticato l’agenda. Più che un’agenda era un delirio: cose da fare, scontrini, spese, conti, appunti di lavoro, lista di cosa mangiava e anche un po’ diario; un casino. Come lei. Si tuffò sulla libreria, afferrò l’agenda lanciando un’occhiata all’orologio e sbuffò “che palle!!”. Sbatté la porta e corse giù per le scale.
Riccardo
Il sonno era talmente profondo e pesante che il trillo della sveglia sembrava provenire da un’altra dimensione. Come ogni mattina veniva ritardata quelle quattro o cinque volte e malgrado fossero solo quei cinque minuti, Riccardo davvero non riusciva ad uscire da quel torpore. Fosse stato per lui avrebbe dormito in eterno. Sempre così stanco e pieno di cose da fare. Si alzò con calma dal letto; la luce che filtrava dal soffitto inondava la camera già dalle prime luci dell’alba senza che ne fosse minimamente disturbato. Si diresse in bagno, senza nemmeno guardarsi allo specchiò, si ficcò sotto la doccia per lavarsi via il sonno e riordinare la lunga lista mentale di impegni della giornata; talmente tanti che non aveva nemmeno voglia di ricapitolarli tutti. Anche se le sue giornate, come quelle di tutti erano sempre uguali, non significava che fossero meno piene, faticose e lunghe. Forse ora più di prima. Sicuramente meno svagate. Ancora in accappatoio si diresse in cucina, addentò un biscotto mentre iniziava a leggere le prime mail di una lunghissima serie e i messaggi non letti dalla sera prima, quando il cellulare giaceva abbandonato in qualche angolo di casa e non era più un’estensione del suo braccio. Sovrappensiero, si passò una mano sul viso; la barba era lunga e gli prudeva, ma anche quella mattina non c’era tempo per la rasatura; ci avrebbe pensato la sera stessa, forse. Era sempre in ritardo, pur essendo così oberato e partendo per tempo, si riduceva sempre all’ultimo secondo, tutto per il lavoro. Sarà che non c’erano limiti di orari, giorni o kilometri; nemmeno il tempo stesso lo era. E se non bastava, lo sottraeva a sè stesso. Scese in cortile; da casa non si era accorto della nebbia e dell’aria densa di acqua che gli aveva bagnato la macchina e ora gli stava bagnando i capelli e la mascherina. Mise in moto, azionò i tergicristalli e accese la radio; tutto contemporaneamente. La radio passava “Take me out” dei Franz Ferdinand, manco a farlo apposta. “Portami fuori”, a lui, che la casa se la sognava più di qualsiasi altro posto nel mondo. Non fece in tempo a godersi due strofe della canzone ed ecco la chiamata. Il suo assistente: ” Ric dove sei? Hanno anticipato il sopralluogo. Aspettano solo noi!”. -Cazzo, ancora…- “Arrivo, faccio prima che posso” rispose schiacciando l’acceleratore del Cherokee fino ai 130.