Nella mirabolante ricerca della rinascita e del miglioramento di me stessa, del recovery dalla profonda disistima di me, non potendo sgambettare su montagne sempre più alte (è solo questione di tempo e ritornerò a fare Heidi), mi sono lanciata nell’impresa del teatro.
Sarà che sono sorella d’arte, sarà che famo sta prova, mi sono iscritta al corso di mio fratello. Una mano lava l’altra. Ora è ovviamente tutto online, che fa perdere un sacco la logica e la consequenzialità della recitazione, ma non si può fare diversamente. Certo, le poche lezioni in presenza erano tutt’altra cosa e paradossalmente era più facile così che davanti ad una webcam, senza un contatto reale. Con lo schermo che sfarfalla, l’audio che va e viene o tu che ti senti una coglione a muoverti e gesticolare e a volte urlare, e ti chiedi se i tuoi vicini di pianerottolo ti manderanno a casa la neuro perché parli da solo o una pattuglia per sospetto assembramento illecito.
Al momento abbiamo letto copioni. Letture, letture. E leggere una scena a distanza diventa ancora più complicato che farlo in presenza. Perché al personaggio non ci sei dentro; il fatto di tenerti il foglio davanti ti crea un certo grado di distacco, un modo di parlare che naturalmente non sarebbe tuo. Citi, non reciti. Anzi peggio, reciti uno che recita, che è quanto di più agghiacciante si possa sentire. E così il personaggio resta lì, in attesa di attore, che non reciti, ma che giochi.
Sia in inglese che in tedesco il verbo “recitare” trova la sua esatta traduzione a dizionario con “giocare” ( to play – spielen = giocare): ed è questo il vero senso: giocare ad essere qualcun’altro, magari completamente diverso da noi, ma con la nostra cifra autentica, con la convinzione che quello che diciamo e quello che accade sia reale. Andare a pescare in noi stessi le emozioni e le sensazioni giuste per fingerci qualcun’altro.
Per la prossima lezione dobbiamo aver imparato la parte a memoria e finalmente mollare i fogli. Staccarsi dal foglio non è proprio facile, ma è l’unico modo per convincersi di ciò che si dice, per essere presente. Ora, sto giro mi tocca Madonna Capuleti, la mamma di Giulietta e ci ho messo un secolo a capire come cavolo si comporta sta donna con sua figlia, e soprattutto trovare un perché e un come. Mi sarei vista più nella Balia, e invece no, visto che non mi veniva la Madonna, mi hanno lasciato proprio quella. La confort zone non è contemplata e quindi devo fare l’aristocratica.
Ora, con permesso messeri, devo andare a convincere la mia figlia quattordicenne a sposarsi con uno che manco conosce.